Il seminario si svolgerà martedì 14 e mercoledì 15 novembre 2017 presso il Salone della Meridiana nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, organizzato dal MANN e dall’Università degli Studi di Napoli Federico II
NAPOLI – …
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LeggiDal 2003 a oggi la Fondazione ha investito 37,5 milioni di euro per la rinascita del patrimonio storico, artistico e architettonico delle due regioni, sostenendo finora 2.430 interventi
TORINO – La Fondazione Crt mette a disposizione 2,5 milioni di euro per il recupero e la conservazione del patrimonio storico, artistico e architettonico del territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta. Sono 150 gli immobili che rinasceranno con i 2,5 grazie al bando “Restauri cantieri diffusi” della Fondazione, si va si va dalla cupola della SS. Annunziata di Busca nel cuneese, alla Basilica di San Vittore Martire sul lago Maggiore, fino al Museo di Arte Religiosa Alpina di Bardonecchia, in alta Val di Susa. Nel torinese inoltre saranno la Chiesa del Santissimo Sudario di Torino e il Teatrino di Cumiana a ricevere i contributi per gli interventi.
Il segretario generale della Fondazione Crt, Massimo Lapucci sottolinea: “Nell’assegnare i contributi, guardiamo con attenzione alla qualità dei progetti e alla loro sostenibilità e rilevanza per i territori di riferimento. ‘Restauri-Cantieri Diffusi’ sostiene capillarmente, da più di dieci anni, il restauro e il recupero dei beni storici, artistici e architettonici presenti sul territorio: un patrimonio del quale vogliamo garantire la tutela, il mantenimento e la fruizione da parte di fasce sempre più ampie di pubblico”.
Spiega Giovanni Quaglia presidente della Fondazione: “Centocinquanta beni del Piemonte e della Valle d’Aosta potranno tornare al loro originario splendore anche grazie al contributo della Fondazione Crt. Riteniamo sempre più importante coinvolgere le comunità a ‘prendersi cura’, assieme a noi, dei propri beni, attraverso cofinanziamenti o iniziative di raccolta fondi. Il Santuario della Consolata di Torino è un modello a cui ci ispiriamo: per il suo recupero la Fondazione Crt ha attivato, accanto al sostegno diretto, modalità di intervento innovative, quali il matching grant e il fundraising”.
Danneggiate le panchine luminose di Jeppe Haien. La scorsa settimana invece era stata presa d’assalto l’installazione di Vanessa Safasi
TORINO – Dopo i “coni gelato” luminosi di Vanessa Safasi, presi a sassate lo scorso fine settimane nel quartiere delle Vallette, alla periferia di Torino, si è verificato un nuovo attacco vandalico contro un’altra installazione luminosa. Questa volta ad essere state danneggiate sono le panchine luminose di Jeppe Haien, nei giardini Allievo di via Roccavione, all’angolo con via Stradella. Ignoti hanno tolto il bordo di metallo del basamento delle panchine e hanno asportato alcuni cavi.
E’ la prima volta quest’anno che le Luci d’Artista migrano nelle zone più periferiche della città. Dopo il raid vandalico della scorsa settimana, la sindaca di Torino, Chiara Appendino, commentava in un post su Fb “Danno e beffa nei confronti di tutti cittadini, ancor prima che dell’amministrazione”. “Da che era stato portato avanti un tentativo, seppur simbolico, di ridare luce e colore a quella piazza, ci siamo svegliati stamattina con uno spettacolo, se possibile, ancor più desolante del precedente – scriveva Appendino – quando abbiamo scelto di riportare cultura e bellezza nelle periferie attraverso l’installazione delle Luci d’Artista lo abbiamo fatto con un intento ben preciso: dimostrare che Torino è una grande città, dove non ci sono zone di serie B, dove l’arte, la cultura e la bellezza sono un diritto di tutte e tutti”.
Luca Beatrice, invece, presidente del Circolo dei Lettori, con un suo commento, sempre su Facebook, aveva scatenato una vera e propria bufera, affermando: “Per decenni le Lucid’Artista sono state rispettate e amate dai torinesi. Ora a qualcuno, per puro spirito demagogico, è venuto in mente di portarle in periferia. Ci sono luoghi dove la bellezza e la cultura non arrivano”. La visione, in qualche modo “elitaria” di Beatrice aveva sollevato numerose polemiche a partire dall’assessora alla Cultura della Città di Torino, Francesca Leon, che si chiedeva : ”Può un’istituzione come il circolo dei lettori essere presieduta da chi predica l’esclusione e la marginalizzazione come necessaria?”, mentre il il vice sindaco di Torino, Guido Montanari, aveva definito il post di Beatrice “triste e incommentabile”. “Identificare un intero quartiere con alcuni delinquenti è davvero operazione di basso profilo – aveva sottolineato Montanari – Stupisce che tali argomentazioni siano portate avanti da chi qualche strumento, appunto culturale, dovrebbe averlo…”.
Il nuovo episodio ovviamente andrà sicuramente ad alimentare ulteriormente la discussione sull’utilità o la necessità di portare arte in periferia.
Nel frattempo Marco Novello, presidente della Circoscrizione 5, sottolinea “Non credo sia un’azione contro l’opera. Gli atti vandalici e i furti nei giardini, purtroppo, sono all’ordine del giorno”, evidenziando un problema ben più grave e radicato nel territorio.
Il ritrovamento rappresenta un’opportunità unica di studio e ricerca. Sono state infatti scavate 408 sepolture di donne, uomini e bambini, alcune delle quali hanno restituito elementi d’ornamento personale in oro, argento, bronzo, pietre dure e ambra
BOLOGNA – L’Università di Bologna ha annunciato il ritrovamento di quello che può essere considerato il più grande cimitero ebraico medievale in Italia. La scoperta è avvenuta nel corso degli scavi archeologici iniziati nel 2012 da un team composto da Soprintendenza di Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, Università, comunità ebraica e ricercatori indipendenti, con il supporto del Comune.
Il cimitero, scoperto in via Orfeo, per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi. Le fonti d’archivio riportano che quest’area fu acquistata nel 1393 da un membro della famiglia ebraica dei Da Orvieto per poi essere lasciata in uso agli Ebrei bolognesi.
Dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento, che autorizzarono la distruzione dei cimiteri ebraici della città, il cimitero sopravvisse per secoli solo nel toponimo di “Orto degli Ebrei”. Lo scavo archeologico ha riportato in luce gli sconvolgenti effetti del provvedimento papale: circa 150 tombe volontariamente manomesse per profanare la sacralità delle sepolture e nessuna traccia delle lapidi che dovevano indicare il nome dei defunti, forse vendute o riutilizzate.
Il ritrovamento rappresenta quindi un’opportunità unica di studio e ricerca. Sono state infatti scavate 408 sepolture di donne, uomini e bambini, alcune delle quali hanno restituito elementi d’ornamento personale in oro, argento, bronzo, pietre dure e ambra.
Gli studi archeologici analizzeranno ora sia le sequenze stratigrafiche, che attestano una frequentazione dell’area dall’Età del Rame all’età moderna, sia i materiali recuperati nello scavo, avvalendosi anche del confronto con alcuni contesti cimiteriali ebraici scavati in Inghilterra, Francia e Spagna. Tra gli oggetti rinvenuti negli scavi, un approfondimento sarà dedicato ai numerosi gioielli medievali, di cui verranno studiate caratteristiche stilistiche, tecniche di realizzazione e significati delle incisioni presenti. L’approccio interdisciplinare, con l’integrazione delle metodologie di studio archeologico, antropologico e demo-etno-antropologico, permetterà di fare luce sulle dinamiche storiche e sociali della comunità bolognese, rileggendo il patrimonio culturale ebraico come esperienza di vita della collettività ebraica dal Medioevo a oggi e come elemento costitutivo dei Beni Culturali della città.
La scoperta si deve a un team di archeologi egiziani e cechi del Czech Institute of Egyptology, che stanno compiendo una campagna di scavo dal 2012. I resti dell’edificio sono stati rinvenuti nei pressi della necropoli di Abusir a Giza, a una ventina di chilometri dal Cairo
IL CAIRO – E’ notizia di qualche giorno fa il ritrovamento del “tempio perduto” di Ramses II, un imponente complesso costruito, secondo gli archeologi tra il 1213 e il 1279 a.C., durante il lungo regno del terzo faraone della XIX dinastia.
Il tempio, di circa 32 metri di larghezza per 52 metri di lunghezza, è composto da un muro di mattoni di terra e da una corte che conduce ai pilastri dell’ingresso principale, riporta inoltre sulle mura numerose epigrafi con incisi i diversi titoli del faraone, insieme a iscrizioni di divinità del sole. Nel tempio sono stati rinvenuti anche frammenti di pitture policrome e pietre di colore blu.
Secondo gli archeologi doveva essere il luogo dell’adorazione del dio sole Ra, venerato in particolare da Ramses.
Ramses II è stato uno dei più grandi sovrani della storia dell’antico Egitto, forse il più grande di tutti e sicuramente il più conosciuto. Il suo regno, durato sessantasette anni, fu caratterizzato nel suo corso sia da eventi politici eccezionali, sia da uno stile ben definito nelle arti e nei monumenti. Alla fine del suo regno lasciò un Egitto ricco e potente.
Secondo la Procura bolognese è “incontrovertibile” che i quadri non furono un indennizzo di guerra. Vanno quindi restituiti all’Italia
BOLOGNA – Continua il giallo internazionale sulla questione relativa agli otto dipinti di grandi artisti italiani tra cui Tiziano, Tintoretto e Carpaccio, “prigionieri di guerra” conservati oggi al Museo Nazionale di Belgrado. Si tratta di capolavori italiani finiti in Serbia in seguito a compravendite milionarie mediate da mercanti per conto del Maresciallo del Reich, Hermann Goering. Dopo il conflitto queste opere sembra furono acquistate a Monaco di Baviera da un antiquario jugoslavo, Ante Topic Mimara e, successivamente, trasferite al Museo nazionale di Belgrado nel 1949.
La questione è stata oggetto di una indagine partita dalla Procura di Bologna. E’ di questi giorni la notizia che, secondo la Procura bolognese, è “incontrovertibile” che gli otto dipinti furono illecitamente esportati dal Reich a partire dal 1941.
A sostenerlo è l’atto inoltrato dal Pm Roberto Ceroni alla Corte superiore di Belgrado. Gli inquirenti, che puntano al recupero delle tele, hanno replicato alle obiezioni della Serbia, che un anno fa aveva respinto una prima istanza di sequestro, con nuove acquisizioni investigative e la richiesta di sviluppare ulteriori indagini. I Carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Firenze hanno accertato che tutte otto le opere furono esportate illecitamente dai tedeschi. Secondo il Pm le opere “furono prelevate direttamente da Goering” per poi essere portate su un treno speciale dirette a Berlino. La sussistenza del reato consente di chiedere la confisca “per il recupero all’estero del bene e il ripristino del patrimonio culturale-economico della collettività.
La Procura bolognese ha chiesto a Belgrado di procedere con alcune indagini mirante a ricostruire come le opere siano arrivate in Serbia. Si ritiene infatti che ci fu un’appropriazione indebita da parte di Ante Topic Mimara e Wiltrud Mersman. Il primo fu antiquario e falsario d’arte, amico di Goering, la seconda invece una donna che lavorava al Collecting Point di Monaco (dove gli Alleati facevano confluire le opere d’arte trafugate dai nazisti) e che che anni dopo divenne la moglie dello stesso Topic.
Secondo il Pm le opere non furono indennizzi di guerra, come indicato invece dal museo quando furono esposte in Italia nel 2004/2005.
Afferma quindi il Pm “In base al diritto allora vigente, l’eventuale consegna alla Jugoslavia, a scopo risarcitorio, delle otto opere d’arte italiane, non sarebbe stata consentitané dalla prassi seguita al Punto di raccolta, né dalle convenzioni internazionali. Né si può sostenere, come invece fa l’Autorità Serba, che l’acquisto avvenne per usucapione”.
Il neo presidente svolge da anni attività di ricerca sull’Architettura Contemporanea pubblicando testi e organizzando mostre e convegni in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali
ROMA – Flavio Mangione è il nuovo presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma. A nominarlo il consiglio composto da Antonio Marco Alcaro, Roberto Grio, Vito Rocco Panetta, Chiara Tonelli, Margherita Aledda, Ombretta Renzi, Alessandro Panci, Christian Rocchi, Andrea Iacovelli, Marco Maria Sambo, Filippo Maria Martines, Francesco Stapane, Silvio Salvini, Fabrizio Asselta.
Dottore di ricerca in Composizione e Teorie dell’Architettura, Mangione è stato docente di Progettazione Architettonica (1998-2013) presso La Sapienza. Assegnista di ricerca dal 2010 al 2012, si è occupato sia dello studio dell’Housing Sociale in Europa sia delle nuove strategie abitative per l’integrazione sociale. Ha svolto la sua attività professionale in Italia e all’estero occupandosi del restauro di edifici contemporanei degli anni ’30 e ’40 e del recupero di edifici di rilievo del ‘500. Vincitore di concorsi internazionali di progettazione architettonica, ha curato e organizzato conferenze di arte, architettura e fisica applicata a materiali plastici, vetrosi e cementizi. I suoi testi sono stati acquisiti dalle maggiori università e istituti culturali in tutto il mondo e recensiti sulle più importanti riviste di settore.
Mangione, dopo la nomina, ha spiegato: “Le azioni che questo consiglio metterà in campo, individuate nel programma elettorale Pro Architettura in Movimento ruotano attorno a quattro punti: sostenere con una legge nazionale la centralità del progetto e la rifondazione del concorso di architettura nel processo edilizio; tutelare il professionista e la committenza nella gestione ordinaria e più diffusa della nostra professione lavorando in trasparenza per l’unificazione delle procedure e l’accesso immediato, per via telematica, a tutti i documenti abilitativi; promuovere l’utilizzo di un contratto di garanzia che tuteli committente e professionista, assicurando un alto livello di preparazione e specializzazione attraverso un sistema di abilitazione, formazione e perfezionamento avanzato; intensificare la comunicazione e promuovere il dialogo tecnico-culturale tra professionisti per raggiungere una più ampia partecipazione democratica degli iscritti e creare quella solidarietà professionale necessaria a sollecitare dei cambiamenti divenuti ormai improrogabili”.
Il neo presidente svolge da anni attività di ricerca sull’Architettura Contemporanea pubblicando testi e organizzando mostre e convegni in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali
ROMA – Flavio Mangione è il nuovo presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma. A nominarlo il consiglio composto da Antonio Marco Alcaro, Roberto Grio, Vito Rocco Panetta, Chiara Tonelli, Margherita Aledda, Ombretta Renzi, Alessandro Panci, Christian Rocchi, Andrea Iacovelli, Marco Maria Sambo, Filippo Maria Martines, Francesco Stapane, Silvio Salvini, Fabrizio Asselta.
Dottore di ricerca in Composizione e Teorie dell’Architettura, Mangione è stato docente di Progettazione Architettonica (1998-2013) presso La Sapienza. Assegnista di ricerca dal 2010 al 2012, si è occupato sia dello studio dell’Housing Sociale in Europa sia delle nuove strategie abitative per l’integrazione sociale. Ha svolto la sua attività professionale in Italia e all’estero occupandosi del restauro di edifici contemporanei degli anni ’30 e ’40 e del recupero di edifici di rilievo del ‘500. Vincitore di concorsi internazionali di progettazione architettonica, ha curato e organizzato conferenze di arte, architettura e fisica applicata a materiali plastici, vetrosi e cementizi. I suoi testi sono stati acquisiti dalle maggiori università e istituti culturali in tutto il mondo e recensiti sulle più importanti riviste di settore.
Mangione, dopo la nomina, ha spiegato: “Le azioni che questo consiglio metterà in campo, individuate nel programma elettorale Pro Architettura in Movimento ruotano attorno a quattro punti: sostenere con una legge nazionale la centralità del progetto e la rifondazione del concorso di architettura nel processo edilizio; tutelare il professionista e la committenza nella gestione ordinaria e più diffusa della nostra professione lavorando in trasparenza per l’unificazione delle procedure e l’accesso immediato, per via telematica, a tutti i documenti abilitativi; promuovere l’utilizzo di un contratto di garanzia che tuteli committente e professionista, assicurando un alto livello di preparazione e specializzazione attraverso un sistema di abilitazione, formazione e perfezionamento avanzato; intensificare la comunicazione e promuovere il dialogo tecnico-culturale tra professionisti per raggiungere una più ampia partecipazione democratica degli iscritti e creare quella solidarietà professionale necessaria a sollecitare dei cambiamenti divenuti ormai improrogabili”.