Ambrogio era ineguagliabile: parola di Ghiberti

Siena. Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 ca-1348) è artista notissimo e gli affreschi nel Palazzo Pubblico di Siena con le «Allegorie e gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo» sono impressi, per la loro bellezza e densità di significato, nell’immaginario collettivo forse quanto la «Primavera» di Botticelli. Il resto della produzione di Ambrogio, di notevolissima qualità, giace tuttavia come schiacciata in un cono d’ombra, dal quale la mostra allestita dal 22 ottobre al 21 gennaio nel Complesso museale di Santa Maria della Scala (catalogo Silvana Editoriale), a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel, intende sottrarla.  Nel percorso espositivo, il cui allestimento è stato concepito da Guicciardini&Magni, troviamo riunite infatti quasi tutte le opere note dell’artista, provenienti da Siena e dal suo territorio e da musei quali il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, i Musei Vaticani, lo Städel Museum di Francoforte, la Yale University Art Gallery e la Galleria degli Uffizi di Firenze (con pochissime eccezioni), molte delle quali sono state restaurate per l’occasione. Realizzato grazie al contributo del Mibact per Siena Capitale Italiana della Cultura 2015, il progetto «Dentro il restauro» ha permesso di allestire in Santa Maria della Scala un cantiere aperto al pubblico per «curare», dopo accurate indagini conoscitive (realizzate in collaborazione con numerosi istituti di ricerca tra cui l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze), opere quali il Polittico della Chiesa di San Pietro in Castelvecchio a Siena, ora più correttamente ricomposto e riunito con l’originaria cimasa raffigurante il Redentore benedicente, e soprattutto il bellissimo ciclo di affreschi, staccati negli anni Sessanta del Novecento, della cappella di San Galgano a Montesiepi, così originale rispetto alla consolidata iconografia sacra da spingere i committenti a pretendere modifiche poco dopo la loro conclusione (cfr. n. 360, gen. ’16, p. 41). Altri restauri hanno riguardato il ciclo della Chiesa di San Francesco, con gli affreschi dell’antica sala capitolare dei frati francescani senesi e quel che resta del ciclo un tempo più famoso di Ambrogio, già nel chiostro del convento dei minori senesi (nel cui «Martirio dei francescani» si trova la raffigurazione della prima tempesta della pittura occidentale con «grandine folta in su e’ pavesi», come scrisse Ghiberti), e la Chiesa di Sant’Agostino, nel cui capitolo era un ciclo di Storie di santa Caterina e gli articoli del Credo e oggi rimane una magnifica «Maestà e santi». Negli anni Trenta e Quaranta del XIV secolo Ambrogio è una vera star a Siena e, oltre alle opere per il Palazzo Pubblico, sono in mostra quella per l’Ufficio della Magistratura di gabella e una coperta di uno dei registri semestrali che è un’incredibile riduzione del Buongoverno. Ma anche gioielli quali la tavola con le «Storie di san Nicola» della Galleria degli Uffizi, con la «Maestà» conservata nel piccolo museo di Massa Marittima, o l’altarolo proveniente da Francoforte («Crocifissione, quattro santi, Natività e Annuncio ai pastori»), dove i dettagli sono indagati con sapienza nella luce notturna, svelando il carattere peculiare dell’arte di Ambrogio. Più giovane del fratello Pietro e quindi con diverse inclinazioni, che ne fanno un pittore molto più intellettuale e raffinato, Ambrogio ottiene commissioni anche a Firenze dove soggiorna e si iscrive perfino all’Arte dei Medici e degli Speziali, caso raro per un senese, essendo quella città tradizionalmente ancorata alle sue mura e semmai più propensa a volgersi verso Arezzo o Assisi. «Tra Pietro e Ambrogio c’è uno stacco notevole, spiega Roberto Bartalini, anche se non possiamo definirlo generazionale perché li separano non più di una decina-quindicina di anni. Pietro, più anziano, segue Duccio, capisce molto presto la pittura di Giotto ed è ancora legato a una certa espressività duecentesca, e a Giovanni Pisano, mentre Ambrogio medita molto su Simone Martini e sulle opere mature di Giotto. Ghiberti scrive che nessuno poteva eguagliare Ambrogio in dottrina e infatti è pittore più mentale, più ricercato, capace di trovare inedite soluzione iconografiche in modo fulmineo e proprio per questo molto richiesto».L’eccezionalità della figura di Ambrogio fa sì che la mostra presenti solo una rappresentanza di opere di riferimento di maestri quali Duccio, Pietro Lorenzetti e Simone Martini, importanti per intendere la sua formazione negli anni che precedono gli affreschi di Montesiepi (luogo da cui proviene anche la «Madonna» che era sull’altare della cappella affrescata da Ambrogio, opera di Niccolò di Segna). «Pur non avendo un taglio strettamente monografico, non era possibile realizzare una mostra corale, come fu quella dedicata a Duccio nel 2003 a Santa Maria della Scala, proprio perché Ambrogio è un artista che fa molto storia a sé. Il solo rammarico è stato non poter riunire anche solo in parte i quattro dipinti per gli altari dei santi patroni del duomo di Siena: la “Presentazione al tempio” di Ambrogio (il cui prestito è stato negato dagli Uffizi perché l’opera è tra le inamovibili), la “Natività della Vergine” di Pietro, l’“Annunciazione” di Simone Martini e la “Natività di Gesù” di Bartolomeo Bulgarini, artista più giovane e sopravvissuto alla peste nera del 1348».Articoli correlati:Siena, restauri aperti per Ambrogio Lorenzetti e nel 2017 una mostra

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Ambrogio era ineguagliabile: parola di Ghiberti

Siena. Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 ca-1348) è artista notissimo e gli affreschi nel Palazzo Pubblico di Siena con le «Allegorie e gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo» sono impressi, per la loro bellezza e densità di significato, nell’immaginario collettivo forse quanto la «Primavera» di Botticelli. Il resto della produzione di Ambrogio, di notevolissima qualità, giace tuttavia come schiacciata in un cono d’ombra, dal quale la mostra allestita dal 22 ottobre al 21 gennaio nel Complesso museale di Santa Maria della Scala (catalogo Silvana Editoriale), a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel, intende sottrarla.  Nel percorso espositivo, il cui allestimento è stato concepito da Guicciardini&Magni, troviamo riunite infatti quasi tutte le opere note dell’artista, provenienti da Siena e dal suo territorio e da musei quali il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, i Musei Vaticani, lo Städel Museum di Francoforte, la Yale University Art Gallery e la Galleria degli Uffizi di Firenze (con pochissime eccezioni), molte delle quali sono state restaurate per l’occasione. Realizzato grazie al contributo del Mibact per Siena Capitale Italiana della Cultura 2015, il progetto «Dentro il restauro» ha permesso di allestire in Santa Maria della Scala un cantiere aperto al pubblico per «curare», dopo accurate indagini conoscitive (realizzate in collaborazione con numerosi istituti di ricerca tra cui l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze), opere quali il Polittico della Chiesa di San Pietro in Castelvecchio a Siena, ora più correttamente ricomposto e riunito con l’originaria cimasa raffigurante il Redentore benedicente, e soprattutto il bellissimo ciclo di affreschi, staccati negli anni Sessanta del Novecento, della cappella di San Galgano a Montesiepi, così originale rispetto alla consolidata iconografia sacra da spingere i committenti a pretendere modifiche poco dopo la loro conclusione (cfr. n. 360, gen. ’16, p. 41). Altri restauri hanno riguardato il ciclo della Chiesa di San Francesco, con gli affreschi dell’antica sala capitolare dei frati francescani senesi e quel che resta del ciclo un tempo più famoso di Ambrogio, già nel chiostro del convento dei minori senesi (nel cui «Martirio dei francescani» si trova la raffigurazione della prima tempesta della pittura occidentale con «grandine folta in su e’ pavesi», come scrisse Ghiberti), e la Chiesa di Sant’Agostino, nel cui capitolo era un ciclo di Storie di santa Caterina e gli articoli del Credo e oggi rimane una magnifica «Maestà e santi». Negli anni Trenta e Quaranta del XIV secolo Ambrogio è una vera star a Siena e, oltre alle opere per il Palazzo Pubblico, sono in mostra quella per l’Ufficio della Magistratura di gabella e una coperta di uno dei registri semestrali che è un’incredibile riduzione del Buongoverno. Ma anche gioielli quali la tavola con le «Storie di san Nicola» della Galleria degli Uffizi, con la «Maestà» conservata nel piccolo museo di Massa Marittima, o l’altarolo proveniente da Francoforte («Crocifissione, quattro santi, Natività e Annuncio ai pastori»), dove i dettagli sono indagati con sapienza nella luce notturna, svelando il carattere peculiare dell’arte di Ambrogio. Più giovane del fratello Pietro e quindi con diverse inclinazioni, che ne fanno un pittore molto più intellettuale e raffinato, Ambrogio ottiene commissioni anche a Firenze dove soggiorna e si iscrive perfino all’Arte dei Medici e degli Speziali, caso raro per un senese, essendo quella città tradizionalmente ancorata alle sue mura e semmai più propensa a volgersi verso Arezzo o Assisi. «Tra Pietro e Ambrogio c’è uno stacco notevole, spiega Roberto Bartalini, anche se non possiamo definirlo generazionale perché li separano non più di una decina-quindicina di anni. Pietro, più anziano, segue Duccio, capisce molto presto la pittura di Giotto ed è ancora legato a una certa espressività duecentesca, e a Giovanni Pisano, mentre Ambrogio medita molto su Simone Martini e sulle opere mature di Giotto. Ghiberti scrive che nessuno poteva eguagliare Ambrogio in dottrina e infatti è pittore più mentale, più ricercato, capace di trovare inedite soluzione iconografiche in modo fulmineo e proprio per questo molto richiesto».L’eccezionalità della figura di Ambrogio fa sì che la mostra presenti solo una rappresentanza di opere di riferimento di maestri quali Duccio, Pietro Lorenzetti e Simone Martini, importanti per intendere la sua formazione negli anni che precedono gli affreschi di Montesiepi (luogo da cui proviene anche la «Madonna» che era sull’altare della cappella affrescata da Ambrogio, opera di Niccolò di Segna). «Pur non avendo un taglio strettamente monografico, non era possibile realizzare una mostra corale, come fu quella dedicata a Duccio nel 2003 a Santa Maria della Scala, proprio perché Ambrogio è un artista che fa molto storia a sé. Il solo rammarico è stato non poter riunire anche solo in parte i quattro dipinti per gli altari dei santi patroni del duomo di Siena: la “Presentazione al tempio” di Ambrogio (il cui prestito è stato negato dagli Uffizi perché l’opera è tra le inamovibili), la “Natività della Vergine” di Pietro, l’“Annunciazione” di Simone Martini e la “Natività di Gesù” di Bartolomeo Bulgarini, artista più giovane e sopravvissuto alla peste nera del 1348».Articoli correlati:Siena, restauri aperti per Ambrogio Lorenzetti e nel 2017 una mostra

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Botero a Palazzo Forti di Verona con 50 opere. Foto

Fernando Botero Coniugi Arnolfini, 2006 Olio su tela, 205x165 cm - particolare

E’ nella prestigiosa sede espositiva veronese che l’artista ha scelto di concludere i festeggiamenti per il suo 85esimo compleanno e per il suoi 50 anni di carriera

VERONA – Fernando  Botero arrivaad AMO – Arena Museo Opera, Palazzo Forti di Verona.  Dal 21 ottobre 2017 al 25 febbraio 2018, l’istituzione veronese accoglie 50 opere di grandi dimensioni che ripercorrono tutta la sua carriera.

La mostra, curata da Rudy Chiappini, è articolata in dieci sezioni tematiche: Gli Esordi, Versioni da antichi maestri, Nature morte,Vita latino-americana, Politica, Corrida, Religione, Sante, Nudi. 

Le sezioni nel loro insieme rivelano il complesso universo che sottende all’arte di Botero, facendo comprendere come la sua pittura parta da lontano e sia tesa al conseguimento di un’immagine ricca e stratificata, che porta in se tutta la storia, tutta la memoria, il peso e il sapore della terra natale. “Si trova in tutta la mia pittura un mondo che ho conosciuto durante la giovinezza. È una specie di nostalgia e ne ho fatto il soggetto centrale del mio lavoro. Ho vissuto quindici anni a New York e molti in Europa, ma questo non ha cambiato nulla nella mia disposizione, nella mia natura e nel mio spirito di latinoamericano. Il rapporto con il mio paese è totale.” 

Botero rappresenta l’essenza stessadell’arte latino-americana, pur non configurandosi  di fatto come unartistaetnico o folcloristico. La sua è un’arte fedele alle proprie radici ma al tempo stesso alimentata dalla conoscenza, dal confronto con altre sensibilità e altri linguaggi, affascinata dall’incontro con le opere del Trecento e del Quattrocento italiani, con Giotto e Masaccio e soprattutto con gli affreschi di Piero della Francesca che rivelano a Botero “l’essenza del classicismo  per l’organizzazione  dello spazio, la serenità della forma e l’armonia dei colori, trasmettendoun grande senso di quiete”.

Per Botero dipingere è sempre stata, oltre che una necessità interiore, anche un’esplorazione continua verso il quadro ideale che non si raggiunge mai. Ciò che contraddistingue iprotagonisti dei suoi dipinti è sicuramente la “dilatazione”, che non coinvolge solo la figura umana, ma anche degli stessi oggetti, divenendo la sua cifra stilistica. Se la voluminosità delle forme è un tratto peculiare e distintivo, lo è anche la totale assenza di espressività dei personaggi, privi di stati d’animo identificabili. I protagonisti dei dipinti di Botero sembrano infatti non provare né gioia, nédolore. La dimensione morale e psicologica non viene affatto contemplata nella loro rappresentazione. Il popolo,intutta la  suavarietà,semplicementevivela  propriaquotidianità, assurgendo a protagonista di situazioni atipiche nella loro apparente ovvietà.

Eppure come sottolinea il curatore “Se un quadro di Botero può indurre al sorriso, la visione di molte opere annulla l’effetto comico: c’è un che di malinconico,  di improbabile,  di metafisico  in questa grassezza  esibita senza ostentazione,  senza rumore,  senza  dramma.  Molto  di  più,  perciò,  della  fortuita  e  fortunata  scoperta  di  una  cifra  stilistica contraddistinta  dall’opulenza  dei  personaggi,  dalle  forme  generose  delle  sue  donne,  dall’abbondanza  del mondo da lui ideato, volta a catturare l’attenzione del pubblico”. Da qui la complessità celata della sua pittura.

Tra i tanti capolavori in mostra si potranno ammirare, tra gli altri, Coniugi Arnolfini (2006), Fornarina, aprés Raffaello (2009) e Cristo crocifisso (2000).

La rassegna, promossa e voluta dalla Direzione del Museo  AMO-Palazzo  Forti, con il patrocinio del Comune di Verona, è coprodotta dal Gruppo Arthemisia  e MondoMostreSkira. 

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Vademecum

AMO Arena Museo Opera, Palazzo Forti, Verona
Date al pubblico
21 ottobre 2017
25 febbraio 2018
Orari di apertura
Lunedì dalle 14.30 alle 19.30
Dal martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietti
Intero
€ 14,00 Audioguida inclusa
Ridotto
€ 12,00 Audioguida inclusa

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Museo di Roma a Palazzo Braschi. Artisti all’Opera

Museo di Roma a Palazzo Braschi. Artisti all’Opera

Dal 17 novembre 2017 all’11 marzo 2018, una mostra celebra il rapporto del Teatro dell’Opera con i più grandi artisti del Novecento, da Picasso a Kentridge. Il percorso espositivo presenta più di 60mila costumi, 11mila bozzetti, figurini e poi ancora filmati d’archivio e proiezioni a cura dell’Istituto Luce

ROMA – I più grandi artisti del Novecento da Pablo Picasso a Renato Guttuso, da Giorgio De Chirico ad Afro, da Alberto Burri a Giacomo Manzù, da Mario Ceroli ad Arnaldo Pomodoro fino ad arrivare a William Kentridge sono protagonisti dell’esposizione dal titolo Artisti all’Opera. Il Teatro dell’Opera di Roma sulla frontiera dell’arte da Picasso a Kentridge (1881-2017)” , a cura di Gianluca Farinelli con Antonio Bigini e Rosaria Gioia, ospitata al Museo di Roma a Palazzo Braschi. 

In mostra, grazie alle collezioni dell’Archivio del Teatro dell’Opera,  una galleria di meraviglie sceniche, realizzate da questi grandi artisti, che comprende scene e costumi, piccoli capolavori inusuali, bozzetti, figurini, maquette. 

La mostra è anche un percorso nella storia del Teatro dell’Opera di Roma, che segue sia i grandi titoli del nostro teatro lirico, sia opere al di fuori dei consueti repertori.  L’esposizione intende inoltre dare spazio al lavoro delle maestranze, ricreato con un sapiente gioco d’allestimento, così da ribaltare la normale prospettiva. 

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Fondazione Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con la Fondazione Cineteca di Bologna. Si ringrazia l’Istituto Luce e la collaborazione di SIAE. La mostra è a cura di Gianluca Farinelli con Antonio Bigini e Rosaria Gioia. Organizzazione Zètema Progetto Cultura. Catalogo Electa

Vademecum

Artisti all’Opera. Il Teatro dell’Opera di Roma sulla frontiera dell’arte da Picasso a Kentridge (1881-2017)
Museo di Roma a Palazzo Braschi
Piazza Navona, 2; Piazza San Pantaleo,10
Dal 17 novembre 2017 – 11 marzo 2018
Dal martedì alla domenica dalle ore 10 – 19
(la biglietteria chiude alle 18) chiuso il lunedì
Biglietti: “solo mostra”: intero € 9; ridotto € 7;
Speciale Scuola € 4 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni);
Speciale Famiglia: € 22 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per non residenti a Roma): intero € 15; ridotto: € 11
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per residenti a Roma):
intero € 14; ridotto € 10
Info
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)
www.museodiroma.it; www.museiincomune.it

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Alberto Angela racconta la storia e il restauro della Piramide Cestia

Alberto Angela racconta la storia e il restauro della Piramide Cestia

Sabato 21 ottobre nella nuova puntata di Passaggio a nord ovest, su Rai1 alle 17.45 

Prendendo spunto da un suggestivo acquerello di Ettore Roesler Franz, tra i maggiori pittori italiani dell’Ottocento, Alberto Angela racconterà la storia e il recente restauro della Piramide Cestia, il monumento che meglio rappresenta l’autentica passione per il paese dei faraoni nell’antica Roma. La piramide, realizzata tra il 18 e il 12 a.C.,  prende il nome dall’uomo che la volle costruire e che vi fu sepolto: Gaio Cestio Epulone.
Si racconteranno inoltre i segreti della magnifica e allo stesso tempo famigerata Torre di Londra, uno dei monumenti più rappresentativi d’Inghilterra. Castello, fortezza, prigione, luogo di illustri esecuzioni capitali e infine attrazione per milioni di turisti.

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L’Accademia Nazionale di San Luca presenta “Jim Dine. House of Words. The Muse and Seven Black Paintings”

L’Accademia Nazionale di San Luca presenta

Dal 27 ottobre 2017 al 3 febbraio 2018, nelle sale di Palazzo Carpegna la mostra che celebra l’elezione di Jim Dine ad Accademico di San Luca

L’Accademia Nazionale di San Luca ospita nelle sale di Palazzo Carpegna la mostra “JIM DINE. HOUSE OF WORDS. The Muse and Seven Black Paintings”.  L’esposizione romana presenterà l’intero ciclo pittorico inedito Black Paintings, concepito dall’artista nel 2015 nel suo studio parigino. Si tratta di  sette tele di grande formato caratterizzate da un uso plastico della materia pittorica e da sature cromie che articolano frammenti narrativi fortemente espressivi cui fanno riferimento i differenti titoli delle opere, quali The Joseph Poem, The History of Screams – Bernini, Damaged by a Crack, Mad Dog Swimming, A Sign of its Pale Color – Tenderness, Eunice is Gone, Happy. Anew. A parrot at Sunrise, The Blood Moon.

Nel salone centrale del Palazzo verrà invece accolta l’opera “totale” The Flowering Sheets (Poet Singing) presentata al Getty Museum di  Los  Angeles  nel  2008. L’opera consiste in una installazione composta da cinque grandi  sculture lignee  che  circondano  un gigantesco autoritratto bianco di gesso, poliestere e legno. Le pareti della sala saranno invece interamente segnate e scritte da The Flowering Sheets (Poet Singing), poema scritto dallo stesso artista che leggerà nel corso di una serata-concerto nella Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro romano martedì 7 novembre alle ore 18.30.

Dine, artista complesso, protagonista di stagioni creative segnate da una forte autonomia espressiva, sin dagli esordi riuscì a conquistare il panorama artistico internazionale. Tra i primi a concepire e sperimentare l’happening, fu presente alla mitica Biennale di Venezia del 1964 dove esplose internazionalmente il fenomeno della Pop Art.

La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese) con testi di Vincent Katz, Lorand Hegyi, Claudio Zambianchi, Paola Bonani, e con un saggio apparso sulla rivista Marcatré nel 1965 in cui Alberto Boatto, recentemente scomparso, tracciava un vivido ritratto dell’artista.

Vademecum

JIM DINE. HOUSE OF WORDS.The Muse and Seven Black Paintings
Inaugurazione: giovedì 26 ottobre 2017, ore 18.00
Apertura al pubblico: 27 ottobre 2017 – 3 febbraio 2018
Sede: Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna, piazza dell’Accademia di San Luca 77 – Roma
Orari: dal lunedì al sabato: 10.00 – 19.00 (ultimo ingresso 18.30); domenica chiuso.
Ingresso gratuito

READING DELL’ARTISTA : HOUSE OF WORDS
Sede: Chiesa dei Santi Luca e Martina, via della Curia, 00184 Roma (Foro Romano)
Data e orari: martedì 7 novembre 2017, 18.30 – 19.30 (ingresso del pubblico dalle ore 18.00)
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti
Informazioni: tel. 06 679 8850; segreteria@accademiasanluca.it

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A Firenze il design anni ’60 e ’70

A Firenze il design anni '60 e '70

“Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976”, ospitata negli spazi della Strozzina, in Palazzo Strozzi, celebra la straordinaria stagione creativa fiorentina del movimento radicale 

FIRENZE – Un caleidoscopico dialogo tra oggetti di design, video, installazioni, performance e narrazioni, si può riassumere in questi termini la mostra Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976”, a cura di Pino Brugellis, Gianni Pettena, Alberto Salvadori con la collaborazione di Elisabetta Trincherini, che celebra la straordinaria stagione creativa fiorentina del movimento radicale tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Ospitata negli spazi della Strozzina, in Palazzo Strozzi, la mostra presenta oltre 300 pezzi di gruppi e personalità come Archizoom, Superstudio, Lapo Binazzi e Ufo, Gianni Pettena, Remo Buti, 9999 e Zziggurat, capaci di rendere Firenze il centro di una rivoluzione creativa che ha segnato lo sviluppo delle arti a livello internazionale.

Definito inizialmente come “Superarchitettura”, “controdesign”, “architettura concettuale” o “utopia”, il movimento architettonico radicale a Firenze si contraddistingue per l’originale e proficuo scambio tra la ricerca architettonica e le arti visive, andando appunto oltre l’architettura. Caratteristica del ruolo “radicale” dei ricercatori fiorentini è quella di innovare profondamente strategie progettuali e piattaforme concettuali, manifestandosi anche attraverso performance urbane e cortocircuiti operativi, con teorizzazioni globali e contributi concettuali che si trascrivono sia nelle architetture per gli interni che negli spazi urbani.

La rassegna intende dare quindi conto di quegli  anni in cui il movimento si è formato e ha operato, testimoniando il ruolo centrale esercitato da questa generazione di artisti anche in un contesto internazionale, lasciando una importante eredità per celebri architetti come Bernard Tschumi, Zaha Hadid, Rem Koolhaas o Frank Gehry.

Vademecum

Dal 20 Ottobre 2017 al 21 Gennaio 2018
Firenze, Strozzina – Palazzo Strozzi
Biglietti: Intero € 5,00; ridotto € 4,00; € 3,00 Scuole. Biglietto congiunto mostra Il Cinquecento a Firenze: intero € 12,00; ridotto € 10,50; € 5,00 Scuole
Info: +39 055 2645155
www.palazzostrozzi.org

 

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Torna in Italia dagli Usa un prezioso frammento della nave di Caligola

Mosaico del ponte della nave di Caligola

Un reperto molto importante, realizzato in marmo romano a mosaico nel II secolo d.C. Grazie all’attività del Comando Carabinieri TPC in collaborazione con le autorità statunitensi sono stati recuperati anche due vasi a figure rosse del V – IV secolo a.C. 

ROMA – Gli Stati Uniti restituiscono all’Italia alcuni reperti archeologici provenienti da scavi clandestini, tra cui un prezioso frammento del mosaico del ponte di comando della nave di Caligola. A dare l’annuncio di questa importante restituzione è stato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta al Consolato Generale d’Italia di New York alla presenza di Karen Friedman Agnifilio, Capo Assistente del Procuratore Distrettuale della Contea di New York, di Bridget M. Rhoede, facente funzione del Procuratore degli Stati Uniti per il distretto orientale di New York, di Anthony Scandiffio, facente funzione del Vice Direttore della U.S. Immigration and Customs Enforcement – Homeland Security Investigations e con la partecipazione dell’Ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti, Armando Varricchi, e del Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Fabrizio Parrulli.  

“Gli Stati Uniti d’America – ha spiegato  il ministro – hanno restituito  all’Italia diversi Beni archeologici provenienti da scavi clandestini o frutto di furti avvenuti nel nostro Paese. Grazie alla preziosa attività investigativa del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e alla fattiva collaborazione delle autorità statunitensi, presto ritorneranno in Italia il prezioso frammento della pavimentazione di una delle navi di Caligola rinvenute nel lago di Nemi, due vasi a figure rosse del V – IV secolo avanti Cristo e diversi reperti numismatici, libri antichi e manoscritti. Tutti saranno ricollocati nei luoghi di provenienza da dove l’attività criminale li aveva sottratti”.

Il frammento, realizzato in marmo romano a mosaico con serpentino e porfido nel II secolo d.C., è parte del ponte di comando di una delle due navi da cerimonia dell’Imperatore Caligola rinvenute nei fondali del lago di Nemi durante una campagna di scavo archeologico condotta tra il 1928 e il 1932. 

Il prestigioso reperto è stato individuato presso una collezione privata di una cittadina italiana residente negli Usa, ed è stato sequestrato dal Procuratore Distrettuale di New York sulla base delle prove fornite dalla preziosa attività investigativa del Comando Carabinieri Tpc. Oltre al frammento è stato rinvenuto anche un cratere apulo a figure rosse, risalente al 360-350 a.C., attribuito all’artista Python, frutto di scavi clandestini in Campania prima del 1985. Le indagini hanno dimostrato che il vaso era stato ricettato e illecitamente esportato da un noto trafficante internazionale italiano, per essere poi individuato presso il Metropolitan Museum di New York, dove è stato recuperato dal procuratore distrettuale di New York.  Recuperata anche un’anfora attica a figure rosse del V secolo a.C., attribuita al pittore di Charmides, provento di scavi clandestini in Puglia prima del 1983 e poi ancora monete, libri e manoscritti. 

Il frammento di mosaico, una volta tornato in Italia, verrà custodito nel museo delle Navi Romane che si trova a Nemi, a una trentina di chilometri da Roma. 

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