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«Musei, c’è chi sa comunicare e chi è antiquato»

Urbino. «Nella comunicazione con il pubblico in Italia abbiamo musei antiquati e altri di grandi innovazione. C’è l’eccellenza straordinaria e la tradizione più incallita, non esiste una regola. Abbiamo anche istituti che adattano al loro contesto culturale modalità comunicative di tipo commerciale. Questo vuol dire ampliare la cerchia delle persone e comunicare in modo gradevole e interessante. Per il nostro patrimonio artistico non auspico la volgarizzazione ma la divulgazione di qualità». A rendere queste osservazioni a «Il Giornale dell’Arte» è Lella Mazzoli: direttrice dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino e del Laboratorio di ricerca sulla comunicazione avanzata (LaRiCA) dell’Università Carlo Bo, dove insegna Sociologia della comunicazione e Comunicazione d’impresa, parla in veste di condirettore del Festival del giornalismo culturale, diretto dal giornalista Rai Giorgio Zanchini, che arriva alla quinta edizione a Urbino giovedì 12 ottobre, a Pesaro venerdì 13, Fano sabato 14 e domenica 15 ottobre (sotto trovate il link).I dieci musei studiati dal sud al nordLa studiosa parla sulla scorta della ricerca Informazione e patrimonio culturaledell’Osservatorio News-Italia (news-italia.it) del LaRiCA che dal 2014 indaga come gli italiani si informano nella cultura. Intervistando per telefono 1.007 cittadini e direttamente chi si occupa di comunicazione nei musei l’indagine 2017 ha analizzato anche come comunicano dieci istituti dal sud al nord: il Salinas a Palermo, l’Archeologico-Mann a Napoli, il MaXXI a Roma, la Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, il rinnovato Museo del Duomo a Firenze, il percorso dei musei bolognesi Genius Bononiae, la Peggy Guggenheim Collection a Venezia, il Museo delle scienze - Muse a Trento, quello del Novecento a Milano, l’Egizio a Torino.«Strategie per un pubblico più vasto»Nei dieci musei indagati «c’è un gran lavorio nella comunicazione più innovativa, la maggior parte di loro ha successo grazie all’uso dei social network, investendoci molto. Lo fa la Galleria Nazionale delle Marche così come il Museo del Duomo di Firenze ha fatto un intervento particolarmente efficace sulle app», constata Lella Mazzoli.Il rilevamento esplora anche la qualità della comunicazione dei musei, non soltanto quanto comunicano. E al riguardo quale giudizio esprime? «Le eccellenze non hanno nulla da invidiare ai casi migliori in Nord America o Europa. Il mio pensiero? Non c’entra con la ricerca, ma se riteniamo che la cultura debba coinvolgere una popolazione più ampia dobbiamo usare strategie gradite a un pubblico più vasto. Il che non equivale affatto a essere volgari ma a divulgare: non auspico la volgarizzazione ma la divulgazione di qualità per l’intero patrimonio artistico».Si guarda la tv in modo più attivo Gli organizzatori preferiscono tenersi i dati in caldo per i giorni del festival, perché così avranno potranno «fare notizia» per i quotidiani, ma intanto concedono alcuni risultati. Che vi snoccioliamo per punti.Punto primo: «L’informazione culturale viene fruita da sette italiani su dieci attraverso la tv, che si conferma dal 2014 al primo posto della classifica dei media utilizzati; segue in seconda posizione internet».Punto secondo: «Cresce anche la radio, mentre diminuisce il numero di italiani che si informano su temi di interesse culturale attraverso inserti e pagine culturali dei quotidiani cartacei».Punto terzo: «I media “tradizionali” (materiali promozionali cartacei, tv e quotidiani/periodici) sono utilizzati da oltre la metà degli italiani per informarsi su musei e mostre, e i cittadini proprio su questi vorrebbero trovare maggiori informazioni». Punto quarto: «Un terzo degli italiani invece si informa online attraverso i siti web dei musei, i loro profili sui social media e i portali tematici, adottando un approccio multicanale. In particolare, la ricerca di informazione sui musei attraverso i loro profili sui social media cresce del 7% rispetto all’anno precedente».«Oggi però guardiamo la tv in modo diverso, facendo “fact checking”, partecipando all’informazione prodotta dalla televisione per cui non c’è solo passività, c’è un’attività», conclude Lella Mazzoli. E lascia capire che per lei un fattore positivo.Articoli correlati:Un catenaccio d’acciaio al Palazzo Ducale di UrbinoIl sondaggio: gli italiani vogliono più arte in tvRisorse in rete:Il festival del giornalismo culturale ...

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