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Finalmente esposto il tesoro di Gurlitt

Berna e Bonn (Germania). Il disegno di un interno di una chiesa gotica di Adolph Menzel incluso nella mostra «Gurlitt: il punto della situazione. I furti d’arte nazisti e le loro conseguenze», allestita dal 3 novembre all’11 marzo alla Bundestkunsthalle di Bonn, è una delle poche opere esposte di cui è nota la provenienza. È rimasta nascosta per decenni nella casa di Cornelius Gurlitt (Amburgo, 1932-Monaco di Baviera, 2014), solitario accumulatore compulsivo che possedeva un tesoro segreto di più di 1.500 opere d’arte, molte delle quali poi confiscate dalle autorità. All’inizio di quest’anno il disegno è stato restituito agli eredi di Elsa Helen Cohen, che lo avevano venduto nel 1938 al padre di Cornelius, Hildebrand Gurlitt, mercante d’arte dei nazisti, per finanziare la loro fuga negli Stati Uniti. «È molto importante per noi raccontare le storie umane che si celano dietre queste opere, le storie dei proprietari in gran parte ebrei che furono espropriati», spiega Rein Wolfs, direttore della Bundestkunsthalle e coorganizzatore della mostra; il suo auspicio è che questo evento possa incoraggiare altri eredi a uscire allo scoperto per reclamare i loro beni. Come nel caso del dipinto «Il ponte di Waterloo» (1903) di Claude Monet, che è stato trovato avvolto in giornali dietro una libreria di fortuna nella casa di Salisburgo di Cornelius Gurlitt. L’olio su tela è uno dei molti dell’artista raffiguranti la stessa scena, in questo caso durante una giornata londinese di nebbia e cielo grigio. Il retro della tela presenta uno scenario altrettanto confuso. Si trova allegata una nota di Marie Gurlitt al figlio, Hildebrand, datata 1938: «Sono felice di confermare che questo quadro fotografato sul retro fu acquistato da me e da papà molti anni fa e te l’ho regalato in occasione del tuo matrimonio nel 1923». La nota fa nascere più domande che risposte. Perché la donna ha aspettato il 1938, quindici anni dopo il presunto regalo di nozze, per scriverla? È vero quello che racconta? Probabilmente no, secondo Wolfs. In diverse occasione Hildebrand Gurlitt ha ampiamente mentito sulla provenienza della sua collezione e potrebbe aver coinvolto anche la madre in questi tentativi di insabbiamento per svariate ragioni. Wolfs ritiene che il quadro sia «una delle tante opere in mostra dalla provenienza poco chiara».Dal 2 novembre al 4 marzo, il Kunstmuseum di Berna, che ha ereditato la totalità della controversa collezione di Cornelius Gurlitt, propone una mostra parallela, «Gurlitt: il punto della situazione. Arte degenerata confiscata e venduta». Mentre la mostra di Bonn è focalizzata sulle confische naziste fatte a singoli individui, quasi tutti ebrei, quella di Berna è dedicata alla velenosa campagna di Joseph Goebbels contro la cosiddetta «arte degenerata» confiscata dai musei tedeschi. Oltre a essere uno dei quattro mercanti autorizzati dai nazisti a vendere arte degenerata all’estero in cambio di denaro contante, Hildebrand Gurlitt acquistò opere che erano state rubate agli ebrei o da loro vendute per lasciare il Paese. Gestiva la sua attività ad Amburgo e faceva acquisti nella Parigi occupata durante la guerra per il Führermuseum di Hitler a Linz, in Austria, un progetto che non fu mai realizzato. Alla morte di Cornelius Gurlitt nel 2014, il solo, ignaro erede fu il Kunstmuseum di Berna, che esitò prima di accettare l’eredità per via delle responsabilità correlate. Alla fine raggiunse un accordo con il Governo tedesco, che continuava a investigare sulla provenienza della collezione di Gurlitt. Solo le opere senza ombra di macchia nazista sarebbero entrate in territorio elvetico. Ma i membri della famiglia Gurlitt contestarono il testamento di Cornelius, sostenendo che non fosse in grado di intendere e volere. La questione è stata risolta solo nel dicembre 2016, quando una corte di Monaco si è espressa in favore di Berna. Fino a quel momento Berna non ha potuto ereditare il tesoro e Monika Grütters, ministra tedesco della Cultura, si è vista costretta a ritardare la mostra di Bonn, inizialmente programmata per il 2016. La mostra propone circa 250 opere (tra gli altri, di Max Beckmann, Pierre-Auguste Renoir, Aristide Maillol, Albrecht Dürer, Edgar Degas e Auguste Rodin), in gran parte oggetto di confisca da parte dei nazisti oppure di provenienza ignota. Si tratta perlopiù di opere su carta, oltre a cinque sculture e una sessantina di quadri. La mostra include anche due album fotografici di opere d’arte destinate al Führermuseum. «Non volevamo aspettare altri cinque anni perché si facesse chiarezza sulle opere, afferma Wolfs. Più a lungo aspettiamo e più sarà difficile esaminare questo capitolo buio della nostra storia. È un soggetto esplosivo, importante e tutto dev’essere il più trasparente possibile». Nell’autunno del 2018 le due mostre di Bonn e Berna saranno unite in una rassegna al Martin Gropius Bau di Berlino. ...

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